TEORIE
URBANISTICHE
DEL
XX SECOLO
CONSIDERAZIONI
GENERALI
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Con il passaggio tra '800
e '900 il problema di pensare la città torna ad essere competenza
degli architetti, specialisti che uniscono competenze tecnico-pratiche
e cultura di stampo umanistico nella riflessione sulla pianificazione della
realtà urbana.
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L'effetto generato da questa
tendenza è che l'urbanistica perde contatto con una visione globale
della storia e della società, viene, per così dire, depoliticizzata.
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L'urbanistica torna in ogni
caso ad assumere su di sé, per effetto di questo evento, il problema
di uno sguardo utopistico, ispirato direttamente da un orizzonte ideale
denso di contenuti immaginativi sulla città. Contemporaneamente
essa finisce con l'impadronirsi dello stesso compito della riforma sociale,
strettamente collegato a quello.
L'URBANISTICA
L'URBANISTICA
PROGRESSISTA
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L'idea chiave dell'urbanistica
progressista è quella della modernità: un'era grande è
iniziata, vive uno spirito nuovo (Le Corbusier).
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L'età industriale come
rottura storica: la città moderna è anacronistica, non contemporanea.
La città deve compiere la propria rivoluzione industriale: nuovi
materiali, nuove tecniche, standardizzazione (efficienza industriale),
razionalizzazione delle forme (ispirata direttamente dalle ricerche e dalle
sperimentazioni nelle arti plastiche).
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L'u. p. cerca di definire
un'immagine essenziale, pura, durevole della città (o dell'oggetto):
in questo modo essa produce l'unificazione di arte e industria.
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L'u. p. tenta di definire
il tipo universale dell'insediamento umano attraverso la definizione e
lo studio dei bisogni umani universali e delle corrispondenti funzioni:
abitare, lavorare, circolare, coltivare spirito e corpo (Carta di Atene
1933 ed esperienza del CIAM).
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Lo spazio è ovunque
nel pianeta omogeneo, uguale. Le determinazioni topografiche non hanno
senso; effetto duplice: a) architettura del bulldozer e b) piani urbanistici
ripetibili ovunque purché funzionali ed efficaci. Lo spazio urbano
è indipendente dall'ambiente.
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Lo spazio urbano è
indipendente dai vincoli della tradizione culturale.
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Lo spazio urbano è
un esercizio della libertà della ragione in funzione di efficienza
ed estetica.
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Centralità delle esigenze
igieniche: sole e verde. Lo spazio tradizionale, chiuso, va fatto esplodere
per ridurre le densità, isolare gli edifici nel verde, abolire le
strade, dare verticalità alla città.
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La città come strumento:
studio, classificazione e separazione delle funzioni.
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La città come spettacolo:
l'estetica come imperativo.
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Centralità della geometria:
l'ortogonalità come sintesi del bello e del vero. L'ortogonalismo
come regola aurea della progettazione.
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Le agglomerazioni progettate
dall'urbanistica progressista come luoghi di coercizione (analogia con
l'urbanistica progressista dell'Ottocento).
L'URBANISTICA
CULTURALISTA
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La totalità (l'agglomerazione
urbana) prevale sulle singole parti (gli individui, le singole zone, i
singoli edifici).
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Il concetto culturale di città
prevale sulla sua nozione materiale.
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La città ha limiti
precisi: spazio, n° di abitanti. La scelta è quella di rifiutare
la megalopoli e di puntare sulla rete di città di dimensioni limitate.
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Lo spazio deve essere chiuso,
intimo, finalizzato a creare relazioni, vario, imprevedibile, mai simmetrico.
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La città deve creare
un clima mentale confortevole, stimolante, capace di moltiplicare le relazioni
interpersonali.
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Fuga di fronte al presente
e alla specificità dei suoi problemi.
L'URBANISTICA
NATURALISTA
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Si tratta fondamentalmente
dell'esito della corrente antiurbana americana del XX secolo.
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F. Lloyd Wright e il modello
di Broadacre City (elaborato tra 1931-35).
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Il modello dell'urbanistica
naturalista è stato relativamente poco applicato: essenzialmente
negli USA e in GB, generalmente in progetti di realtà suburbane
e per realizzazioni di dimensioni limitate (raramente interi agglomerati
urbani sono stati progettati in accordo ai principi dell'urbanistica culturalista).
L'URBANISTICA
IN DISCUSSIONE: L'ANTIURBANISTICA DEL XX SEC.
TECNOTOPIA
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Tecnici, architetti, ingegneri
hanno tentato di pensare la città del XX secolo in funzione delle
nuove tecniche di costruzione, dei nuovi stili di vita, delle nuove esigenze
dell'uomo del XX secolo.
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Gli effetti sul piano della
teoria e dei progetti sono stati radicali. Si parla di una urbanistica
spaziale: le città ideate in accordo con questa tendenza presentano
fortissime concentrazioni umane, ricerca di soluzioni attraverso le quali
liberare superficie, denaturalizzazione della città, forte importanza
attribuita all'aspetto plastico (si parla a questo proposito di architettura
visionaria).
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I modelli più ricorrenti
sono quelli della città verticale (I. Xenakis), degli insediamenti
tridimensionali, delle città marine, delle città ponte.
ANTROPOPOLI
(per un assetto umanistico della città)
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Critica radicale all'urbanistica.
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Tentativo di reintegrare il
problema urbano nel suo contesto globale che è quello di un approccio
di tipo umanistico sostenuto da un'analisi di tipo antropologico.
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L'obiettivo è quello
di reintegrare l'uomo concreto e completo nel processo di pianificazione
urbana.
IL
PUNTO DI VISTA DELL'IGIENE MENTALE
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L'origine di questa tendenza
sta negli studi sviluppati da alcuni autori (per esempio A. Freud e J.
Bowlby) nel II dopoguerra. Essi procedono allo studio dell'agglomerazione
urbana dal punto di vista delle sue conseguenze sul comportamento umano:
l'ambiente urbano può spingere verso comportamenti aggressivi o
verso l'integrazione sociale. Il concetto chiave di questi studi è
quello di igiene mentale; gli autori in oggetto sono convinti che l'igiene
mentale non coincide necessariamente con quella fisica. Per lo sviluppo
armonioso della personalità e della socialità solo un certo
clima affettivo è davvero insostituibile. L'igiene mentale rappresenta
al contrario spesso la condizione per l'igiene fisica.
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Gli urbanisti progressisti
spesso non hanno tenuto conto del fatto che l'integrazione del comportamento
umano nell'ambiente urbano è il risultato di un certo clima esistenziale.
Essi hanno invece pensato, il che non è, che il buon assetto igienico
o l'ordine e la razionalità delle forme possano assicurare agli
abitanti senso di sicurezza, libertà, positività di atteggiamenti.
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L'isolato insalubre può
rivelarsi quindi più salubre del quartiere pianificato dagli urbanisti
secondo i criteri dell'igiene.
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Standardizzazione e zoning
hanno prodotto: monotonia, noia, dedifferenziazione psichica, astenia,
spazi vuoti (morti, mortali), angoscia. La città deve rispondere
al principio di eterogeneità.
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Alla dedensificazione demografica
va sostituito il principio di accostamento degli individui: spazi vivi,
attivi, polifunzionali possono spingere i soggetti ad avvicinarsi e socializzare.
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La pianificazione non può
porre l'abitante di fronte al fatto compiuto. Gli abitanti devono partecipare
alla strutturazione della propria città.
CONCLUSIONI
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L'idea di un'urbanistica scientifica
è un mito della società industriale. In realtà tutte
le proposte di assetto urbano celano sempre sistemi di valori e visioni
del mondo non neutre o puramente tecniche.
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L'urbanistica ha oggettivato
durante l'età industriale questi sistemi di valori in modelli, in
tipi ideali, che si sono tradotti in potenziali strumenti di azione sociale
con forti caratteri di arbitrarietà.
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La critica all'urbanistica
(l'antiurbanistica del '900) ha reagito a questa tendenza cercando nella
realtà urbana stessa il fondamento della pianificazione: i progetti
devono essere subordinati all'indagine, alla ricognizione dei bisogni dell'uomo
che abita l'ambiente che si pensa di pianificare.
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La città non può
quindi più essere pensata semplicemente come uno strumento attraverso
il quale compiere alcune funzioni vitali (abitare, nutrirsi, produrre,
ecc.). La città è essenzialmente un quadro di relazioni intercoscienziali
per le quali si impiegano sistemi di segni molto più complessi di
quanto non siano le forme pure, essenziali, semplici dell'urbanistica.
E' necessario quindi, nel progettare la città, far emergere i significati
multipli dell'assetto urbano.
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Il linguaggio dell'urbanistica
è monologico (limitato all'urbanista stesso) e coercitivo (per chi
abita la città). Esso priva l'abitante della libertà di risposta,
non lo coinvolge nell'elaborazione del suo progetto.
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La polis greca, il luogo della
democrazia, come momento nel quale il cittadino ha potuto liberamente partecipare
al discorso sull'assetto dell'insediamento urbano. Si tratta oggi di reinventare
questa partecipazione. Per farlo l'urbanista deve rinunciare al proprio
carattere demiurgico, parlare all'insieme della collettività e coinvolgerla
nella definizione del progetto.
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Nessuno può sapere
oggi quale sarà l'assetto della città di domani. Forse essa
perderà la ricchezza semantica che ha avuto nel passato. Forse non
avrà più il ruolo creatore che ha avuto nel passato (ruolo
che verrà forse preso da nuovi sistemi di comunicazione: televisione,
internet, ecc.).
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Certamente però la
città del futuro non potrà essere un luogo esclusivamente
funzionale; per vivere la città dovrà saper conservare il
proprio valore semiologico, continuare cioè ad essere un luogo di
convivenza e di comunicazione complessa tra i suoi abitanti.